DIARIO DI CELLA 28. NON AVEVA RAGIONE NORDIO, AVEVAMO RAGIONE NOI REGINA COELI COSTRETTA A SFOLLARE, MANDA REBIBBIA VERSO LA CATASTROFE. E VIENE TRAVOLTO ANCHE LUCA, UN VERO CAMPIONE DELL’IMPRENDITORIA IN CARCERE.

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Gianni Alemanno

Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento.

Rebibbia, 19 ottobre 2025 – 292° giorno di carcere.

Non aveva ragione Nordio, purtroppo avevamo ragione noi. Quando in tutti questi mesi abbiamo ripetuto che il “piano carceri” e gli altri palliativi messi in campo dal Ministro non avrebbero risolto il sovraffollamento, ma l’avrebbero aggravato, eravamo facili profeti di quello che sarebbe successo e succederà ancora.

Mentre di nuovi posti in carcere non se ne vede l’ombra, la magistratura di sorveglianza continua a non far accedere le persone detenute alle pene alternative, e la percentuale del sovraffollamento aumenta inesorabilmente di settimana in settimana, un’altra mazzata si è abbattuta sul sistema penitenziario italiano, in particolare su quello romano: il crollo di una porzione del tetto, vecchio e marcio, di Regina Coeli.

Il sottosegretario Delmastro si è affrettato a minimizzare, ma la realtà è ben diversa.

Circa 300 detenuti sono stati trasferiti in altri carceri, in particolare in Sardegna e qui a Rebibbia. Non solo: dal momento del crollo, tutti i nuovi arrestati di Roma (circa 40–50 persone al giorno), invece di finire in prima istanza a Regina Coeli, saranno sistematicamente dirottati a Rebibbia.

Risultato: anche Rebibbia sta andando oltre ogni limite. Una buona parte delle salette fino ad ora dedicate alla socialità nei vari reparti sono state frettolosamente trasformate in celle da riempire fino a 10–12 persone e anche di più, modello Poggioreale. Dove, dalla nascita di Rebibbia ad oggi, si è sempre giocato a carte o a ping-pong, adesso ci sono le brande imbullonate per terra.

Anche qui al G8 arriva di tutto: da persone immigrate che presto si organizzeranno in clan etnici pronti a scontrarsi tra loro e con gli italiani (non è intolleranza, è la realtà), a persone malate e tossicodipendenti che non dovrebbero neppure stare in cella. Mentre i lavoranti, le persone con più lunga detenzione – quelle che stabilizzano i reparti e li rendono governabili – sono state tutte portate via e raggruppate in bracci a parte.

Alcuni dei nuovi venuti si sono trovati senza materassi e senza cuscini, e hanno dovuto dormire una o più notti sul nudo ferro della branda. D’altra parte la dotazione d’organico del personale di sorveglianza è rimasta la stessa, e gli agenti della Penitenziaria fanno quello che possono. È solo l’inizio: ogni settimana andrà peggio e anche l’“isola felice” del G8 sarà presto livellata all’invivibilità degli altri reparti.

Di questi processi faticosissimi di trasformazione e redistribuzione delle persone detenute, non ha fatto le spese solo la vita quotidiana dei reparti, ma anche la speranza.

Stiamo parlando di Luca, il detenuto coordinatore della famosa pizzeria del G8, che serve tutte le persone detenute e il personale di servizio del carcere. Un fiore all’occhiello, uno dei pochi esempi di imprenditoria privata trapiantata nel carcere, che dà lavoro a decine di persone detenute e che si preparava ad offrire una professionalità organizzando con la Regione Lazio corsi di formazione per pizzaioli.

Quando qualche personalità vuole visitare Rebibbia (l’ultimo venerdì scorso è stato Roberto Vannacci), viene sempre condotta nel piccolo “circuito modello” del G8, dove ci sono la falegnameria, il call center del Bambino Gesù, la sala teatro e quella per la musica. E dove c’è la pizzeria, che fa assaggiare a tutti un prodotto che non ha nulla da invidiare ai ristoranti del centro di Roma.

Di chi è il merito di tutto questo? Sicuramente di Gennaro, l’imprenditore che ha investito in questa pizzeria; sicuramente delle decine di persone che ci lavorano dentro; ma soprattutto di Luca, un solido e laborioso quarantenne originario di Latina, ex paracadutista, vecchio militante del Fronte della Gioventù, che quando era in libertà come lavoro faceva proprio l’imprenditore nel campo della ristorazione.

Per interi mesi Luca ha lavorato giorno e notte con Gennaro per organizzare i piani di lavoro e la sostenibilità economica della pizzeria, per sperimentare gli impasti, per addestrare i lavoratori detenuti, per fare marketing in tutto il carcere. È sempre rimasto “sul pezzo”, a organizzare tutto, ogni giorno, dalla mattina alla sera.

Ebbene, venerdì, senza nessun preavviso, Luca è stato trasferito in un altro carcere. In due ore ha dovuto “fare i sacchi”, lasciare le consegne del suo lavoro, abbracciare tutti (è amato e stimato da tutte le persone detenute e da tutti gli agenti della Penitenziaria) e andarsene.

Perché? Perché quarantan giorni fa, quando è arrivata al braccio l’ennesimo disperato, una persona detenuta con problemi infettivi seri, si è fatto interprete della protesta delle persone detenute, alzando un po’ la voce. Poi quella persona detenuta è stata mandata via dal braccio (segno che la protesta non era infondata), ma a Luca ha avuto un’ammonizione, che doveva rimanere solo un atto burocratico. Invece, quell’ammonizione è stata la base per un trasferimento per motivi “di ordine e sicurezza”, semplicemente perché di fronte a questo sovraffollamento montante ci si attacca a tutto per giustificare gli spostamenti.

Stessa cosa sta accadendo al coordinatore di sala del call center del Bambino Gesù, anche lui portavoce di quella protesta, ma la responsabile del progetto ha fatto sapere che, se questo trasferimento non rientrava, avrebbe chiuso l’attività.

Anche Gennaro, l’imprenditore della pizzeria che ha incontrato oggi quasi in lacrime, non sa se riuscirà a mandare avanti l’attività senza Luca.

Il sovraffollamento, l’emergenza continua, generano questi corti circuiti, fanno saltare i “percorsi trattamentali”, disarticolano le poche iniziative di lavoro carcerario. Luca era anche iscritto all’Università di Tor Vergata con cui aveva fatto molti esami, ma anche questo percorso rischia di essere cancellato con un tratto di penna.

Dove sono gli esponenti del CNEL che – su impulso del presidente Brunetta, all’uopo sollecitato proprio dal Ministro Nordio – avevano lanciato l’iniziativa “Recidiva zero” attraverso la diffusione del lavoro e dell’imprenditoria nelle carceri? Dove sono i tanti onorevoli, uomini di governo, professori e alti dirigenti che hanno assaggiato la pizza preparata dai ragazzi di Luca, commuovendosi per la loro bravura e laboriosità?

Dov’è finita tutta la retorica sul lavoro che riscatta e rieduca?

Dov’è finito l’articolo 27 della Costituzione italiana?

Nel sacco di plastica dove Luca ha raccolto le sue cose, il suo orgoglio e la sua bravura. Quel sacco che si è caricato sulle spalle per andare – a fronte alta e con un leggero sorriso di disprezzo, da vero paracadutista – in un altro carcere a ricostruire da zero la sua vita.

Gianni Alemanno e Fabio Falbo

 

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