La riforma costituzionale approvata dal Senato introduce quindi la separazione delle carriere per i magistrati, distinguendo formalmente tra giudici e pubblici ministeri.
Questo significa che ogni giovane magistrato dovrà scegliere, all’inizio della sua carriera, se diventare giudice o pubblico ministero, senza possibilità di passare dall’una all’altra funzione durante la carriera.
Ma perché questa riforma ha suscitato la reazione scomposta e stizzosa della sinistra? Una reazione che ha fatto registrare il primo caso nella storia, che vede la Corte dei Conti agire addirittura preventivamente su di un programma di Governo. Il programma per cui gli italiani lo hanno votato e che includeva anche la costruzione del ponte sullo stretto di Messina.
Siamo al paradosso.
La Corte dei Conti, che dovrebbe essere deputata a ben altre mansioni, interviene sulle scelte di un governo tese a modernizzare il Paese con infrastrutture indispensabili e blocca, (fortunatamente solo in maniera temporanea), l’iter che va avanti oramai da decenni e che solo col Governo Meloni poteva veder realizzata l’opera.
Sinistre quindi sul piede di guerra su di una riforma che prevede l’istituzione di due distinti Consigli Superiori della Magistratura (CSM), uno per i magistrati giudicanti e uno per i magistrati requirenti, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica.
I due CSM avranno competenze specifiche riguardo a assunzioni, trasferimenti e valutazioni di professionalità, mentre la giurisdizione disciplinare sarà attribuita ad un’Alta Corte disciplinare.
Il percorso verso l’approvazione definitiva della riforma è comunque ancora lungo. Dopo l’approvazione del Senato, il testo dovrà essere esaminato nuovamente dalla Camera dei Deputati e dal Senato, con un possibile referendum previsto per la primavera del 2026.
Una riforma della giustizia che mira a migliorare l’efficienza e l’integrità del sistema giudiziario italiano, ma che le sinistre vedono come un tentativo di controllo della magistratura stessa da parte del governo.
Governo che, si badi bene, dovrebbe restare in carica fino al 2027 causa fine mandato.
Le preoccupazioni della sinistra, a questo punto, sembrerebbero da ricercare nella più che probabile ipotesi che il centrodestra rivinca ancora le elezioni, considerato il trend positivo riscontrato nei sondaggi che vedono Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia, puntare al 35% dei consensi entro il primo trimestre del prossimo anno (oggi sono al 31,5 e continuano a crescere), piuttosto che nella natura stessa della riforma che per altro, incassa il si anche da Antonio Di Pietro, l’ex magistrato di mani pulite, oggi dedito all’agricoltura.
Comprensibili quindi anche le esternazioni isteriche e le paure della Piccolotti (guarda il video) e del consorte Fratoianni, (quasi 40 mila euro mensili in due) che, “poverini” da quando hanno svenduto la loro Tesla, sembra vadano in giro in risciò. Senza più nemmeno la possibilità di ospitare a bordo un “ermellino”.
