Daniela Vassallo racconta il suo mondo senza filtri nel nuovo libro “Il Rony Roller – 110 anni di circo”. La testimonianza dell’universo circense tra memorie storiche, passione e sacrifici.
Il profumo dello zucchero filato, l’odore di fieno, il ruggito lontano di un leone: il circo è tornato in città. Quante volte, da bambini, abbiamo provato un brivido di adrenalina varcando la soglia del tendone, entrando in un mondo magico, dove il tempo sembra scorrere in un’altra dimensione.
Questo universo fatto di luci e colori ha affascinato anche grandi artisti. Uno su tutti: Federico Fellini, che nel film I Clowns ha ritratto il mondo circense con uno sguardo onirico, a metà tra documentario e finzione. Protagonista di quest’opera è il pagliaccio: volto truccato, sorriso spalancato, naso rosso. Un’icona che ancora oggi domina le locandine affisse per strada, incarnata dall’iconico Lou Jacobs, leggendario clown del circo americano Ringling Bros. Il circo ha ispirato il cinema per generazioni: dal controverso “Freaks” (1932) di Tod Browning fino a “Il più grande spettacolo del mondo” (1952) di Cecil B. DeMille, una vera e propria celebrazione del circo classico americano.
In Italia, il simbolo assoluto di questa tradizione resta senza dubbio Moira Orfei. Con il suo turbante, il trucco acceso e il suo carisma ha dominato la scena televisiva tra gli anni ’70 e i primi del 2000. Lei che diceva: “Sono la signora del circo. E se mi chiamano zingara per me è un complimento”. Eppure ridurre il circo ad un mondo di nomadi, più volgarmente “zingari”, sarebbe alquanto riduttivo. Dietro il tendone e gli spettacoli, si cela una grande preparazione, frutto di studio, disciplina e passione. Nel circo c’è chi si forma imparando l’arte di famiglia per tradizione e sangue, chi invece apprende nelle accademie. Tra le tante scuole circensi, in Italia e nel mondo, c’è la Scuola di Cirko Vertigo di Grugliasco (Torino), che offre percorsi professionali e corsi di laurea triennale in collaborazione con l’Università di Torino. Proprio da queste realtà emergono spesso i talenti protagonisti del Festival di Montecarlo, considerato gli “Oscar del circo”.
Anche la politica in passato ha riconosciuto il valore del circo. Nel 1979, durante un Talk Show con Nando e Anita Orfei sulla Rai, l’On. Marco Pannella lo definì: “benedetto patrimonio di cultura che dovremmo vedere nelle nostre piazze”. Oggi però questo patrimonio si trova al centro di un acceso dibattito, che oscilla tra tradizione e progresso. Mentre alcuni lo celebrano come arte antica, altri lo criticano ferocemente da un punto di vista etico.
Nonostante le critiche, il circo resiste. Un esempio è il Rony Roller Circus, tra i più grandi in Italia ed Europa, che festeggia i suoi 110 anni di storia. Nel mese di dicembre uscirà il libro di Daniela Vassallo “Il Rony Roller – 110 anni di circo”, come anticipato in un articolo sulla pagina del SIAC Europa (sindacato autonomo italiano che si occupa dello spettacolo dal vivo e del benessere animale). Il celebre tendone a strisce bianche e rosse è stato protagonista di vari servizi giornalistici, tra cui “Il circo mi ha salvato da Gomorra” di Fanpage, e ha vantato una collaborazione con il famoso domatore Stefano Orfei, figlio di Moira. Il Rony Roller ha inoltre partecipato a numerose iniziative solidali e spettacoli in Vaticano, alla presenza di Papa Francesco, il quale ha espresso vicinanza e stima verso chi porta avanti quest’arte antica.

Eppure ciò che lo spettatore vede dal vivo, sui social o in TV è solo la punta dell’iceberg. Oltre le luci, la pista, le acrobazie e gli svariati numeri, c’è un mondo nascosto fatto di vissuto, di storie tramandate di generazione in generazione, una vita di sacrifici e soprattutto tanta umanità. Per raccontare meglio questo mondo, Francesco Mastrobattista ha deciso di intervistare Daniela Vassallo, portavoce del Circo e autrice del libro “Il Rony Roller – 110 anni di circo“, prossimo all’uscita.
Intervista a Daniela Vassallo – Il Circo, la Libertà e la Dolce Condanna

F.M: Ciao Daniela. Innanzitutto grazie della disponibilità.
D.V: Ma è sempre bello quando si parla di circo, al di là del libro. In ogni caso il lancio ufficiale del mio volume “Il Rony Roller – 110 anni di circo” sarà prima di Natale, nella nostra tappa natalizia, in una serata di gala nel circo proprio. Evento organizzato dalla casa editrice.

Una storia lunga 110 anni
F.M: Com’è nato il libro?
D.V: L’editore è venuto con la famiglia a vedere lo spettacolo. Affascinato, mi ha detto: “Vorrei raccontare le storie del mondo del circo“. Dopo meno di una settimana avevo già firmato il contratto. È nato tutto così, all’improvviso, e ne sono molto soddisfatta. Il libro non parla solo del Rony Roller. Nel 2026 festeggeremo 110 anni da quando la mia famiglia, i Vassallo, è entrata nel mondo del circo. Tutto cominciò con il mio bisnonno, che gestiva teatri itineranti nelle piazze. Durante la Prima Guerra Mondiale, quando rimpatriarono gli italiani dall’America, arrivarono in Italia anche le famiglie Zacchini e Bellei, grandi nomi del circo. Videro questi teatri in piazza e nacque una fusione, durata fino alla Seconda Guerra Mondiale, che univa teatro e circo. Poi, i tedeschi fecero saltare con una bomba il carro Shapito. Da lì comincia la storia moderna della nostra famiglia, fino al Rony Roller, al Circo di Vienna, alle produzioni parallele. Tutti Vassallo, stessa famiglia, più rami.
Una donna, una madre, una circense
F.M: E nel libro ti racconti anche come donna, come madre.
D.V: Mi racconto nella veste di ragazza e di bambina. Nel libro si parla di pregiudizio: quando ero bambina e si andava a scuola in Alto Adige, a me e ai miei cugini, gli insegnanti, razzisti come non mai, ci controllavano se avevamo i pidocchi in testa solo perché eravamo del circo e italiani. Mia zia Maci metteva tutti sull’attenti e chiedevano scusa. A 14 anni ricevevo per strada proposte oscene durante le tappe. Per molti la ragazza del circo era vista come prostituta, una poco di buono, una rom… tutto mescolato. Le ragazze circensi venivano sempre molestate. Davanti ai cancelli del circo si celava lo sporcaccione del paese di turno che ti chiamava con frasi oscene. Altri ci facevano la classica domanda: “ma dopo lo spettacolo mangiate tutti insieme, col calderone”. Dai, ci abbiamo sempre riso.
Freaks, baracconi e verità mancata
F.M: Questo pregiudizio deriva anche un po’ da una certa cinematografia che ha riguardato l’ambiente circense, penso per esempio al famoso film Freaks del 1932.
D.V: Allora, qua è un altro nodo cruciale e ci tengo a chiarirlo: Freaks non racconta il mondo del circo ma quello delle “baracche d’entrata”, una realtà distinta. Prima il circo girava nello stesso piazzale del Luna Park e delle baracche d’entrata. Me l’ha sempre raccontato mio nonno: c’erano questi poveri infelici, questi disabili, considerati “fenomeni”, da qui nasce il termine “fenomeno da baraccone”, perché stavano nelle baracche d’entrata. Quei luoghi non erano gestiti da circensi, erano un ramo a parte. Qui loro avevano una vita sociale più che dignitosa, viaggiavano, uscivano dai paesi dove erano bullizzati o dalle quattro mura dove erano segregati, perché le famiglie si vergognavano. Lo scherno era da parte del pubblico, ma la loro vita sociale era ricca ed erano tutti stipendiati. Alcuni di loro hanno avuto anche carriere come attori. Nel mondo del circo l’inclusione è sempre esistita: mio nonno, Ciccillo, da giovanotto si innamorò di una lillipuziana che lavorava in una di queste baracche d’entrata. Si trattava di una ragazza affetta da nanismo, perfettamente proporzionata, una vera bellezza in miniatura. Voleva sposarla. Poi lei lo lasciò. L’unica donna di cui mia nonna è sempre stata gelosa era di questa ragazza. Mia nonna, da anziana, quando parlava di lei, diceva così: “eh, lui, quando uscivano la metteva sugli sgabelli alti perché lei non ci arrivava, e poi lei gli ha messo le corna”, ma lo diceva con la gelosia vera, quella di una donna verso un’altra donna, non con disprezzo. Non l’ho mai sentita dire “quella nanetta” o cose dispregiative. Allora dimmi se questa non è inclusione? Non stiamo parlando di adesso, ma di quasi cent’anni fa, quando i nani venivano abbandonati negli istituti per disabili.
F.M: Sì sì, sono stati anche perseguitati durante il nazionalsocialismo in Germania, nella stessa Italia fascista.
D.V: Ecco… ce lo dobbiamo raccontare? Le sappiamo tutte queste cose? Oggi ci hanno appioppato tra virgolette la figura del nano nel circo e la donna barbuta, quando alla chiusura delle baracche d’entrata molte persone sono rimaste in ambito circense. Ma non è tanto la linea freaks che ci ha danneggiato quanto Fellini, grande artista però dai…
Fellini, i Clowns e un’immagine sbagliata
F.M: A proposito di Fellini: i Clowns, il suo film-documentario, è importante da citare nell’ambito circense. Secondo alcuni critici ha dato una certa visibilità al vostro universo.
D.V: Ha dato un’immagine tanto bella, romantica, ma tanto decadente. Ha dato l’immagine di una fine, non di un presente o futuro. Lui amava il circo, lui adorava il circo e nei suoi occhi di artista l’ha rappresentato in un modo in cui io non mi riconosco. Quindi se io da circense non mi ci riconosco vuol dire che non ci ha rappresentato, che ci ha omaggiato con la sua arte, ma non ci ha rappresentato assolutamente. Incriticabile un artista di quella portata, però non mi riconosco nella sua rappresentazione artistica, che rimane comunque un gran capolavoro, ma non ci rispecchia, è un fantasy.
F.M: Lui gioca molto con lo stile onirico.
D.V: Ecco e la gente questa visione onirica l’ha presa per buona forse, forse un po’ troppo. Da lì nasce un danno all’immagine. Non potrei mai dire una parola malevola verso un grande artista che tanto ha amato il mio mondo, io amo chi ama il mio mondo.

Dibattito animalista, aggressioni e razzismo
F.M.: Nel libro parli anche di tuo figlio Aris.
D.V: Certo. Non ho paura di quando mio figlio si avvicina ai leoni, agli elefanti, agli ippopotami, io ho paura dell’estremismo e la violenza di questi “animalati” dell’ultima ora, perché mio figlio è già stato aggredito perché è empatico con gli animali. A Fiumicino è finito in ospedale dopo un’aggressione. Gente che poi rinchiude il cane tra quattro mura e lo porta fuori, mutilato tramite castrazione o sterilizzazione, che gli dà da mangiare cibo contro natura, perché le crocchette e le scatolette in natura non esistono, gente che detiene i pappagalli incatenati ai trespoli, uccelli in gabbia, furetti, lemuri, di tutto e di più è rinchiuso negli ambienti domestici. Poi chiamano “assassino” e “torturatore” mio figlio, quando dovrebbero imparare da lui.
F.M: Mi riaggancio a questa ultima tua affermazione sulla gogna mediatica che state affrontando, attaccati da ogni dove, per quanto riguarda la questione animale, portata avanti soprattutto da una fascia molto radicale degli animalisti. Qual è la vostra difesa?
D.V: Tutta la campagna animalista contro il circo è stata una strategia studiata a tavolino, legata al business dei canili, dei centri di recupero e a manovre politiche. Guarda che oggi avere dalla propria un’associazione animalista con tesserati sai cosa vuol dire? Vuol dire che oggi alcune associazioni animaliste in base al numero dei loro tesserati sono in grado di assegnare delle poltrone. Quando noi siamo stati attaccati le prime volte da quelli che credevamo essere persone che veramente credevano che nel circo gli animali fossero torturati o presi in natura, non abbiamo capito il vero gioco qual è stato. Il vero gioco è stato, ed è ancora, il business dei centri di recupero, il business del finto animalismo. Più noi abbiamo cercato di far capire le infondatezze delle loro accuse e più abbiamo perso tempo, perché noi non abbiamo capito che è stata tutta una manovra studiata a tavolino. A questa manovra si sono agganciate poi le vecchie gattare vergini e gli animalisti dell’ultima ora, ma è stata una conseguenza che oggi ha portato ad un razzismo verso la figura del circense, oltre a un genocidio culturale. Oggi il circense è vittima di razzismo, al pari – se non peggio – di un extracomunitario. E lo dico chiaramente: razzismo. Oggi io denuncio, perché maltrattare un animale è un reato penale. Quando qualcuno mi accusa di maltrattare un animale, mi sta accusando di un reato penale. E io oggi denuncio, punto. Non c’è mai stata una battaglia tra mondo del circo e finti animalisti, le varie associazioni animaliste non vorrebbero mai togliere gli animali dal circo, perché grazie alla loro “battaglia” contro il circo con gli animali si pubblicizzano. Io non ho mai visto un’associazione animalista andare a manifestare nel casertano davanti agli allevamenti delle bufale, ops! Non li ho mai visti inveire contro coloro che organizzano corse di cavalli clandestine o combattimenti con cani. Non ho mai visto animalisti manifestare per i circa cinquemila animali sgozzati per il sacrificio rituale islamico.
Un tempo non era così
F.M: Più o meno sapresti inquadrare un po’ il periodo preciso in cui è iniziata questa gogna? Perché io ricordo da piccolo, fine anni 90, inizio 2000, c’era molta più fiducia, molta più simpatia nei confronti del mondo circense, da parte dell’opinione pubblica. Il circo era trasmesso anche sui canali televisivi, Moira Orfei è stata una diva della TV.
D.V: 20 anni fa con il business delle oasi di recupero, dei centri di recupero e le associazioni animaliste diventate veri imperi economici. Diciamocelo: l’associazione animalista di per sé non avrebbe neanche motivo di esistere, perché in Italia ci sono delle leggi che tutelano gli animali…sembra la fiera dell’assurdo. Tutto si aggancia a quello che ti ho appena detto: questo fenomeno è un nuovo business, nuove manovre politiche che hanno toccato una categoria. Arriviamo in una città, dove ci sono macellerie, pescherie, ristoranti dove servono carne, ospedali con farmaci studiati sugli animali, idem le farmacie. Poi ci sono le pelletterie, migliaia di animali domestici rinchiusi in casa…poi arriva il circo e tutti puntano il dito. Questo è razzismo e non si scappa. Quando io vedo ai bordi delle strade pecore e cavalli sotto la pioggia, poi arriva il circo, ah cos’è? Perché c’è razzismo e lo devi scrivere in caratteri cubitali: “razzismo”, fomentato da alcune associazioni animaliste spalleggiate da politici che hanno costruito delle carriere attaccando il circo.
Il Circo tra eredità e scelta
F.M: In tutto ciò: il circo secondo te si eredita o si sceglie?
D.V: Si eredita e si sceglie, oppure ti rapisce, senza che te lo aspetti. Persone che si avvicinano al mondo del circo per passione o che si fidanzano con un/una circense poi non riescono più a stare a casa loro. La ragazza di mio figlio non appartiene al mondo del circo, è figlia di poliziotti, eppure è entrata in questo mondo per amore. Così come lei tante persone.
Se esistesse un’università del circo…
F.M: se tu fossi un’insegnante di circo all’università: quale sarebbe il primo argomento del corso?
D.V: La libertà. La libertà personale, la libertà di pensiero, la libertà di espressione. Al circo si lavora 24 ore su 24 per essere liberi. Il circo è una vita dura: ci lava la pioggia, ci asciuga il vento, ma sei libero di seguire qualsiasi aspirazione. Una libertà che ti imprigiona, non puoi concepire altra vita che non sia il circo. Riporto anche nel libro che ogni volta che nella mia vita mi sono trovata a dormire nelle case fatte di mura, compresa a casa mia, perché ogni circense ha la sua casa, e ogni volta che mi trovo a dormire anche in un’hotel, io sogno di aprire la finestra e vedere il mare. Sogno che fuori dalla finestra c’è il mare, l’immensità del mare. Uno potrebbe dire che bello… no, che brutto. Perché avere il sangue che ribolle di libertà non è facile. Quindi sicuramente la prima lezione che darei, anzi il primo argomento che potrei esporre sarebbe questo: dove inizia la libertà nel mondo del circo e dove inizia e finisce la prigione, perché è una dolce condanna il mondo del circo, non lo puoi lasciare.
Oltre lo spettacolo
F.M: C’è un momento durante lo spettacolo in cui senti un brivido forte, che ti ricorda perché continui a fare tutto questo e perché hai scelto di fare questo nella vita?
D.V: No, in realtà io non l’ho scelto perché ci sono nata, ma nell’arco della vita ho sempre riconfermato questa mia…
F.M: Esatto, comunque avevi la libertà di cambiare e non l’hai fatto.
D.V: Assolutamente! Non è solo lo spettacolo, perché le persone pensano solo allo spettacolo, è il tutto, è tutto l’insieme. È sentire la forza di far parte di una realtà che comprende tutto il territorio, non solo italiano, il sapere l’appartenenza, le radici, la forza… è il tutto che ti dà sempre queste conferme, non è solo lo spettacolo. Quello è il prodotto finale.
F.M: È ciò che vediamo noi comuni spettatori insomma
D.V: Sì è quello che più salta a voi agli occhi e che vi appassiona, ma poi alla fine, per noi, è solo il prodotto finale. L’emozione è tutt’altro: è sentire la pioggia sul tetto del caravan, è il viaggiare, il vedere, l’annusare sempre l’aria diversa. Ritorniamo poi alla libertà.
Un ringraziamento a Daniela Vassallo per la generosità con cui si è raccontata, rivelando aspetti inediti sul mondo del circo. Aspettiamo l’uscita del libro, a dicembre, per poter fare una nuova, piacevole, chiacchierata.
