Non poteva individuare location più adeguata Sabrina Quagliardi, l’organizzatrice dell’evento che si è svolto lo scorso venerdì 12 settembre al Dream di Recanati, la città di Leopardi, dove circa 150 fidardensi hanno festeggiato il traguardo delle 60 primavere. Ed erano solo un terzo degli “aventi diritto”. A Castelfidardo, negli anni 60 la televisione c’era, ma dalla Badorlina alle Fornaci; Dalle Crocette a Sant’Agostino; Da Porta Marina al Campo della Fiera, erano in pochi a guardarla la sera. Si era in piena era “boomer”.
“60 E STO!”, questa la parafrasi di un famoso giuoco, scelta come locuzione scritta sulla grande torta, dove sono state spente le classiche sessanta candeline di rito. Una festa che si è ripetuta per la seconda volta dopo il “quarantennale”. Una ogni 10 anni. E la prossima avrà luogo nel 2030, fra cinque anni. Proprio come si usa per il rinnovo della patente di guida dopo i 60.

Ho Immaginato un Giacomo Leopardi che guarda dall’altra parte della strada, mentre corregge i versi della sua struggente “Il sabato del villaggio”, modificando anche il titolo in “La Febbre del sabato sera è ancora alta”.
Ebbene si!. Sembra essere nata, decisamente, una nuova età della vita: “la sexalescenza”.
Non è una moda, né un vezzo linguistico. È un’identità potente, consapevole e rivoluzionaria. Sono uomini e donne nati negli anni ’60, che si rifiutano di farsi chiamare “anziani”. Hanno attraversato i decenni cambiando pelle, ma mai anima. E oggi, a 60, non hanno alcuna intenzione di invecchiare.
Sono digitali, curiosi, appassionati. Usano lo smartphone con la stessa naturalezza con cui, un tempo, si metteva su un vinile. Fanno videochiamate, mandano messaggi vocali, leggono, viaggiano in moto, esplorano. Non si lasciano definire dall’anagrafe, ma dalla voglia di vivere che si portano dentro.
Molti di loro lavorano ancora, e non per dovere: per scelta. Perché hanno trasformato il lavoro in vocazione, e non sentono il bisogno di fermarsi. Chi di loro è già in pensione, invece, ha imparato l’arte di godersi il silenzio, la lentezza, l’attesa di un tramonto guardato senza fretta.
Le donne sexalescenti sono guerriere lucide. Hanno combattuto, amato, lasciato, ricominciato. Alcune vivono da sole, altre hanno studiato fianco a fianco con i figli, alcune hanno scelto l’indipendenza prima ancora che diventasse di moda. Hanno smesso di cercare conferme, e hanno iniziato a cercare sé stesse.
E poi c’è un dettaglio meraviglioso: non invidiano più nulla. Non il corpo dei ventenni, non il successo facile, non le vite “da copertina”. Sanno che l’esperienza ha una bellezza sottile. Che uno sguardo pieno di storia vale più di mille pose. Che un sorriso, oggi, nasce dalla pace, non dalla necessità di piacere.
Non pianificano la vita degli altri: progettano la propria. Ogni giorno è una pagina bianca da scrivere. Ogni mattina, il sole che si alza è un invito a non smettere mai di esistere davvero.
La sexalescenza non è un’età. È una rivoluzione silenziosa. Un modo nuovo di stare al mondo. Una giovinezza che non vuole tornare indietro, perché ha imparato a guardare avanti.
Capita poi che qualcuno si sia perso più di una ricorrenza, saltando non solo il quarantennale, ma anche quelli precedenti dei 30 e dei 20, e ritrova i suoi compagni di classe addirittura delle medie. Ed è subito un viaggio nel tempo a ritroso di quasi cinquant’anni.
Sembravo essere salito sulla DeLorean del Dottor Dock. Quella del famoso film “Ritorno al Futuro”.
Già nell’affollato androne del Dream, durante la distribuzione dei ticket prenotati, risuonavano cognomi particolarmente famigliari. Alba, Campanari, Mezzelani, Capitoli, Pincini, Zoppi e ancora, Marabini, Romagnoli, Ottavianelli, Schiavoni, Biondini… Si. Erano proprio loro. I miei vecchi compagni di classe della Paolo Soprani. Incontrati 48 anni dopo. Mano a mano che li guardavo, scomparivano le fattezze di adulti e quando ho incrociato il loro sguardo, ho rivisto l’immagine nitida di quei dodicenni che non avevo mai dimenticato.

A me, monumento alla distrazione, che dimentico di tutto, dalle bollette da pagare alle tasse; Dall’anniversario di matrimonio, al latte sul fuoco, cominciano a scorrermi dinnanzi agli occhi, con incredibile nitidezza, tutta una serie di aneddoti, nascosti per quasi mezzo secolo, da qualche parte della mia mente e adesso, come per incanto, mi scorrono davanti come fotogrammi di celluloide in una vecchia 35 millimetri. A tratti sembra di sentire anche le loro voci di bambini (Quella di Sandro non è mai cambiata. E’ una di quelle voci calde, radiofoniche, alla Ray Charles. Quasi rauca. Di quelle che fanno andare in brodo di giuggiole le donne migliori, di quelle che non trascurano i particolari. E la cosa comica, è che quella voce, Pincini, l’aveva già nel 1977, quando aveva dodici anni. (Che invidia!)
Di Ilario ho sempre pensato che fosse un genio. Oggi produce chitarre apprezzatissime anche negli States. E’ uno di quelli che amo definire “Eccellenze Italiane”. Mente e Cuore. Poche battute nella baraonda generale. Mi dice: “Sai Mattia, ho battezzato mio figlio col tuo cognome, perché mi piaceva, ma soprattutto perché mi ricordavo di te che eri una bella persona”. In quel preciso momento ho realizzato che non sarei mai dovuto venir via da Castelfidardo.
Vederli ballare in pista ha contagiato anche me. Erano spariti anche i dolori alle ossa. L’ultima volta che sono stato in una discoteca fu la notte prima del matrimonio, quella dell’addio al celibato. Avevo 24 anni, ma stare lì col loro mi aveva fatto dimenticare perfino i miei acciacchi.
E’ notte inoltrata quando ci salutiamo. Avrei voluto tenerli lì tutta la notte per chiedere loro: “Cosa avete fatto in questi ultimi 48 anni? Io sono andato a letto presto, e voi? Non so cosa ha riservato la vita a ognuno di loro. Non ho potuto viverli, ma ho sempre tenuto stretti a me i ricordi e le loro belle anime.
Ho viaggiato tutta la notte verso sud, mi sarò fermato una decina di volte sulle piazzole di sosta dell’autostrada. L’ho fatto ogni qual volta mi tornava in mente un aneddoto, un momento particolare, un ricordo felice di quel tempo andato. L’ho annotato su di un bloc notes per non dimenticarlo. Fra 5 anni, chissà, potrebbe tornare utile come test della memoria.
Quello di Alfredo e l’autostop in una Renault 4 rossa, non ha funzionato granché bene, ma ognuno ha i propri tempi.

Tanta roba le tue parole , dovevi tornare a salutarci dato che hai reso magica questa serata . un abbraccio dal tuo sempre amico . Sandro Pincini