In un periodo complesso come quello attuale, in cui le persone sono sempre più sfiduciate dalla politica e la partecipazione elettorale è sempre più bassa, c’è chi non si arrende e lancia un nuovo progetto. È il caso di “Liberisti Italiani”, un movimento che si focalizza soprattutto sull’idea di libertà individuale, sul libero mercato e affronta il tema tanto discusso dello Stato minimo al servizio dei cittadini. “Nasce il partito della motosega”, è stato lo slogan del Primo Congresso Nazionale, tenutosi lo scorso 17 maggio nella Capitale. A guidare il fronte liberista italiano è Andrea Bernaudo, classe 1970, laureato in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma e già consigliere regionale del Lazio. Noi del Corriere delle Città abbiamo deciso di intervistarlo per capire meglio le idee e gli obbiettivi di questo nuovo soggetto politico.
F.M: Buonasera signor Bernaudo e grazie per la disponibilità. Lei è attualmente il Presidente della nuova sigla politica “Liberisti italiani”. Prima di addentrarci nel cuore della chiacchierata, volevo chiederle se può riassumere brevemente le proposte chiave del vostro programma politico.
A.B: Liberisti Italiani non è una sigla, ma un movimento politico che è già stato sulle schede elettorali, con dirigenti, quadri, iscritti ed aderenti. Nasce per una battaglia semplice e radicale: meno Stato, meno tasse e più libertà. Questo significa intanto tre cose fondamentali: Tagliare la spesa pubblica improduttiva con la motosega, chiudendo, ministeri, enti inutili, municipalizzate decotte, società partecipate che bruciano miliardi e tutta la burocrazia autoreferenziale che mortifica l’intelligenza e la creatività imprenditoriale degli italiani; Riforma fiscale vera e per tutti: tassazione semplice, bassa e proporzionata, stop alla persecuzione delle partite IVA, di chi produce e di chi lavora, basta inversione onere della prova e applicazione del “solve et repete” nell’ordinamento tributario, dimezzare il costo del lavoro e lasciare buste paga più pesanti per i lavoratori dipendenti; Liberalizzazioni e concorrenza: dallo Stato imprenditore allo stato minimo, per liberare mercati e opportunità. Il nostro programma si riassume così: più libertà economica, più responsabilità individuale, più futuro per chi lavora e produce.
F.M: in Italia c’è ancora molta confusione tra i seguenti termini: liberali, liberisti e libertariani. Voi avete adottato però una terminologia precisa nel nome del vostro contenitore politico. Possiamo fare chiarezza?
A.B: In Italia si fa molta confusione. I “liberali” qui da noi spesso sono diventati sinonimo di partiti al limite “liberalsocialisti” che hanno votato ogni aumento di tasse e di spesa pubblica. Noi con queste esperienze fallite abbiamo eliminato ogni dialogo. Il termine “liberisti”, invece, è stato demonizzato, associato quasi a una parolaccia, perché significa semplicemente credere nel libero mercato e non nello Stato padrone, quindi la trasposizione del liberalismo in economia. “Libertariani” è la traduzione dell’esperienza americana, dove il libertarianism è lo sviluppo coerente del liberalismo classico. Noi abbiamo scelto Liberisti Italiani perché vogliamo marcare la differenza: nessun compromesso con lo statalismo, nessuna ambiguità e sul perno del liberismo unire i liberali classici ed i libertari.
F.M: il 17 maggio, a Roma, si è svolto il congresso di Liberisti Italiani. In quell’occasione lei è stato immortalato dalla stampa con una motosega in mano. Un chiaro riferimento al Presidente argentino Javier Milei. Cosa vi spinge ad ispirarvi a lui?
A.B: Noi veniamo da lontano, da decenni di militanza politica liberale, liberista e libertaria. La motosega oggi, grazie a Milei, è il simbolo più potente che spiega in un’immagine quello che noi proponiamo da sempre e da ben prima dell’avvento di Milei: tagliare lo Stato dove spreca, dove soffoca, dove ruba futuro. Milei oggi può essere un detonatore per tutti, perché ha avuto il coraggio di dire, in un Paese allo stremo e ridotto sul lastrico dallo statalismo, che l’unica via era ridurre drasticamente la spesa pubblica. In Italia nessun politico lo ha mai fatto, tutti parlano di “riforme” ma nessuno tocca l’apparato statale. Noi sì, siamo pronti a farlo, per questo siamo tenuti fuori dal circuito.
F.M: il sentimento libertariano, però, non proviene dall’Argentina, che per tanti anni è stata governata dai Peronisti. Il libertarianesimo, infatti, nasce principalmente negli Stati Uniti come sviluppo del liberalismo classico. Negli USA il terzo partito più importante dopo i due grandi blocchi è il Libertarian Party. Qual’è il vostro confine di ispirazione tra i libertariani e il Presidente Donald Trump? Quest’ultimo, nonostante sia un conservatore, ha incassato una grossa fetta di elettorato non proprio statalista.
A.B: Il libertarianesimo viene dagli Stati Uniti, dal pensiero di Jefferson, Madison, fino a Rothbard e Ron Paul. È lì che nasce la vera cultura della libertà individuale e della limitazione dello Stato. Trump non è un libertario, è un conservatore, ma ha saputo intercettare milioni di cittadini che rifiutano l’establishment e il globalismo. Il confine è chiaro: noi non vogliamo un uomo forte che sostituisca lo Stato, vogliamo meno Stato in assoluto. Ma riconosciamo che Trump, nel suo linguaggio diretto e nella sua guerra contro l’élite statalista, burocratica, woke e “green” ha raccolto pezzi di battaglia che sono anche nostre.
F.M: uno dei temi che frammenta continuamente l’universo libertariano è la politica estera. Che posizione avete sull’attuale scenario mondiale, fatto di guerre e tentativi, al momento poco riusciti, di diplomazia?
A.B: Noi liberisti sulla geopolitica e sugli attuali teatri di guerra abbiamo in corso un dibattito interno, ma abbiamo una bussola molto chiara: diffidiamo dei governi che usano le guerre come alibi per allargare il loro potere e comprimere le libertà individuali. Oggi vediamo conflitti che diventano la giustificazione per più tasse, più spesa pubblica, più controllo sociale. L’Italia partecipa, quasi in silenzio, a impegni militari che servono da scusa per non tagliare le tasse, come ha ricordato Giorgetti, mentre spesa improduttiva interna rimane inalterata. E questo è inaccettabile. La nostra posizione è semplice: diplomazia vera, commercio e scambi liberi, no a nuove cortine di ferro.
F.M: Il vostro congresso ha visto la partecipazione di Giuseppe Cruciani tramite video. Questo dimostra che prova simpatia per voi. C’è qualche altro esponente della TV o della politica italiana che vi ha mostrato vicinanza?
A.B: Nicola Porro, Giuseppe Cruciani, Andrea Ruggieri, Andrea Mancia, gli amici di Confedilizia, Radio Radicale, Radio Radio e pochi altri hanno avuto il coraggio di rompere un muro di silenzio: ci hanno riconosciuto, e lo hanno fatto senza calcoli di convenienza. Non è poco. Altri contatti nel mondo della TV e della politica ci sono stati, ma non è questo il punto: noi non cerchiamo padrini o endorsement, cerchiamo alleati nella battaglia per la libertà. E chiunque abbia il coraggio di dire meno Stato e più libertà, per noi è benvenuto, indipendentemente dal ruolo o dal palco da cui parla.
F.M: Da Presidente di un movimento: qual è il suo parere sull’attuale governo?
A.B: Il governo Meloni si sta dimostrando, come tutti i precedenti, prigioniero dello statalismo. Non ha tagliato un solo euro di spesa pubblica improduttiva, continua a sfornare nuove assunzioni nel pubblico impiego, ha messo in piedi un concordato biennale che è un ricatto e adesso prepara l’accesso diretto ai conti correnti dei cittadini. Sulla pressione fiscale ha già dichiarato di non poter intervenire: ma la verità è che non vuole intervenire. È più comodo mantenere clientele e alimentare un apparato pachidermico, che liberare imprese e cittadini dal cappio fiscale. In sintesi: questo governo, sul fisco e sulla libertà economica, sta fallendo clamorosamente.
Grazie ad Andrea Bernaudo per aver accettato questa breve intervista. L’obbiettivo del nostro giornale è quello di dar spazio a tutti, a prescindere dalla provenienza politica. Riteniamo che queste conversazioni siano utili per comprendere l’universo politico alternativo che vive fuori dalle stanze della partitocrazia tradizionale.
